Anna Marongiu

     

un'artista sarda nella prima metà del novecento

 

Leandro Muoni

- 7 febbraio 2000

Renzo e Lucia nei territori dell'anima

Il capolavoro manzoniano in trentotto tempere degli anni Venti

Pittrice, acquafortista, illustratrice e decoratrice di rango, Anna Marongiu Pernis è stata una delle perle più fulgide dell'arte figurativa in Sardegna a cavallo tra le due guerre. Giunta rapidamente alla fama, una fama per nulla circoscritta ai soli confini dell'isola, questa geniale artista cagliaritana, nata nel 1907 e morta tragicamente nel 1941, quando già aveva rivelato a un pubblico molteplice una produzione vasta e di splendida maturità, è stata circondata negli ultimi tempi da un ingiusto quanto incomprensibile silenzio.
Oggi, grazie alla lungimiranza degli Amici del Libro e alla sagace disponibilità dell'editore Della Torre, Maria Crespellani, un'altra artista di non comune levatura, ha provveduto a dissipare l'intrigata coltre. E l'occasione non poteva mostrarsi più propizia. Infatti, si tratta della pubblicazione delle "Tavole per i Promessi Sposi" che la Marongiu compose nel 1926, articolandole in trentotto tempere dal fascino singolarissimo, alla sorprendente età di diciannove anni. L'estro dell'autrice non veniva attratto in modo sporadico né casuale dai grandi capolavori: infatti, oltre alle illustrazioni per il romanzo manzoniano, ella disegnò anche nel 1929 i bozzetti ispirati al "Circolo Pickwick" di Charles Dickens, già esposti alla Dickens House di Londra, e recentemente acquistati per il Gabinetto delle Stampe, che porta peraltro il nome della stessa Marongiu, dalla Biblioteca universitaria di Cagliari (come ricorda nella presentazione del volume Maria Giuseppina Cossu Pinna).
Nel 1930 poi realizzò le tavole per il "Sogno di una notte di mezza estate". A queste creazioni la nostra artista affiancava ancora, tra altre innumerevoli cose che la fervida fantasia veniva suggerendole, alcune segrete visioni di Cagliari, che restano tra le immagini più seducenti nell'iconografia del paesaggio locale.
Ma veniamo alla strana e suffusa magia di queste tavole manzoniane. Nel variegato e sterminato panorama delle illustrazioni del grande romanzo, le tempere della Marongiu s'impongono per una loro originalità d'invenzione e di esecuzione. Vi introducono il fascino di una freschezza che ha il sapore dell'arte divinamente infantile, e che si ritaglia una propria cifra all'interno della migliore tradizione illustrativa italiana, non solo del periodo. In esse si può constatare una "verginità" non ingenua, ma come ispirata da una sorta di illuminazione, né disgiunta dalla "conoscenza delle più recenti avanguardie artistiche del '900, per l'uso che l'artista fa di garbate cornici colorate che ci ricordano da vicino l'opera di Sonia Delaunay" (come assai opportunamente indica la Crespellani). Emerge in altre parole, dalla personalità della Marongiu, una grande dote naturale, mista ad una cultura ricca e selezionata e ad un non comune virtuosismo tecnico. Come del resto le riconobbero i contemporanei: sia i conterranei, quali Melis Marini, Giuseppe Biasi, Stanis Dessy, Remo Branca, Nicola Valle e Mario Delitala, sia i maestri del "continente", tra cui in primo luogo il suo mentore ed estimatore Carlo Alberto Petrucci, una delle autorità più prestigiose nel campo dell'illustrazione italiana.
Ma quale è il fascino irresistibile ed inconfondibile di queste tavole? Vorremmo rispondere soprattutto: la loro "spiritualità" garbata e moresca, dolceamara, cioè appunto manzoniana: la loro grazia esatta, se così si può dire. Possiedono insomma tutta la grazia dell'esattezza.
" I personaggi, le scene di massa e i paesaggi del romanzo sono illustrati con mano puntuale e penetrante, con acutezza psicologica e con maturità d'interpretazione, nonché con fedeltà al testo letterario. Fedeltà che non solo non mortifica la sua originalità figurativa e creativa, ma direi che sollecita ed esalta stimolando la sua fantasia" (così annota ancora molto bene la curatrice, Maria Crespellani). Sempre la Crespellani ne sottolinea felicemente anche "le verità di impostazioni spaziali ogni volta armoniose" "l'equilibrio dei volumi" "la sensibilità cromatica raffinatissima" "il dinamismo figurativo e la finezza e originalità di particolari nella decorazione".
E questi quadretti deliziosi racchiusi in uno spazio che sta tra il simbolico e il fiabesco,tra il morale e il sentimentale, sono impreziositi dalle "astuzie" della grande tradizione illustrativa, le quali si esprimono in soluzioni stilistiche geniali quanto funzionali: "Per i personaggi più importanti del romanzo - ecco un esempio - la Marongiu crea nella parte alta del quadro un motivo che ne sia simbolo e richiamo" (così ancora Maria Crespellani). A riprova della serietà e profondità di questa operazione figurativa e creativa: in cui davvero si rispecchia tutta la misteriosa tavolozza dei sentimenti e dei drammi della vita dei destini incrociati e delle loro metafore.
Tutto ciò paradigmaticamente avviene attraverso il prisma e il magistero dell'arte manzoniana, dove il ritratto del mondo e i disegni della provvidenza, i personaggi, i luoghi e le vicende sembrano tradursi in ultima istanza nel racconto della stessa biografia interiore del grande romanziere. In filigrana, "I Promessi Sposi" ci appaiono insomma come il palinsesto narrativo del mirabile territorio dell'anima umana e delle sue perturbazioni.
Una singolare e commovente empatia sembra poi instaurarsi, anche sotto il segno o grazie al nume del Manzoni, tra le due artiste: la Marongiu e la Crespellani come per una sororale affinità d'indole e di affetti.
Non potremmo concludere il nostro discorso senza un accenno alle illuminanti note di accompagnamento alle illustrazioni che la curatrice appone alle tavole, completate e corredate poi dagli esempi letterari corrispondenti, trascelti da Luigi Rogier sopra le pagine del romanzo. Queste note di commento, sobrie e puntuali, sembrano un omaggio che in qualche modo gareggi amabilmente in finezza e tenerezza, e soprattutto penetrazione psicologica, nei testi figurativi. Un solo esempio, raccolto alla fine e conclusione del "lungo viaggio", e intitolato "i figli di Renzo e Lucia". "Finita la grande prova, Renzo e Lucia possono avere finalmente una vita e una famiglia "normali", lavoro, figli amati e curati, come possiamo vedere dai tra bambini dalle vesti colorate, fiorite e allegre che abbiamo dinnanzi, bimbi vivaci che hanno colto fiori e sono accompagnati da un cagnolino che fa parte della "combriccola" e che cammina al loro passo. La vita che si svolge con un ritmo continuo è simboleggiata dal cerchio della cornice (l'unica circolare di tutta la serie) e dalla varietà dei colori che esemplificano la diversità dei giorni che si susseguono, e che rendono la vita sempre desiderabile e piacevole, pur nell'alternanza di ombre e luci, come riscontriamo nello sfondo del quadro".
Leandro Muoni