Anna Marongiu |
Barca volante: questa la traduzione letterale in italiano di flying boat. Rispetto al nostro più tecnico: idrovolante, il termine inglese disvela un colore quasi popolare, fiabesco, lontano dal rombo futurista delle eliche, dal vapore di benzina, dallo scintillio metallico dei motori riflessi sull’acqua. In flying boat risuona insomma, liquido di quella celtica propensione alla magia, un non so che di rustica barca fatata, capace a volte di staccarsi dal mare del reale per veleggiare nelle contrade del sogno o del mistero grande dell’aldilà.
E uguale simpatia leggiamo nelle sue opere per le creature innocenti di quella selva, colte con un calore di solidarietà, di intima partecipazione a quell’innocenza inerme, tale da evocare le tenerezze porcellanate di un Emilio Malerba o ancora la bonaria perfezione della fauna amata e dipinta da Beatrix Potter. Testimonianza, forse anche quest'ultima, di un’anglofilia impetuosa della nostra, studentessa a Roma presso l’Accademia Inglese, che si dichiara nel nutrito ciclo di illustrazioni per Dickens e ancora nella bellissima suite shakespeariana per il “Sogno di una notte di mezza estate”. Undici tavole a colori dove si esibisce vistosa tutta la ricchezza dei modelli culturali, tutta l’eleganza visionaria di questa specialissima ventenne.
Anna incede nel mondo fantastico dell’inglese con la sicurezza di un segno raffinato, figlio della sintesi attenta eppure sontuosa di certo Novecento, capace di concedersi generoso e coltissimo al piacere dorato della decorazione. Nelle figure umane, flessuose di un classicismo controllato – vicino alla misura aurea di un Giò Ponti – brilla gioioso il rigore geometrico dei cromatismi Déco. Mentre lo spazio metafisico della favola si modula quasi sempre nel ricamo lussuoso di una flora d’arabeschi: e torna il bosco, ideale, nella perfezione cesellata di una natura mondata dal végétale irregulier – bandito dalla Sarfatti – dove è solo la dea della sintesi volumetrica a scandire un’algida sinfonia di composti valori plastici. Tutto questo dentro l’orgogliosa modestia dell’illustrazione: attitudine alle arti applicate che Anna Marongiu Pernis saprà esibire, anche nell’ambito dell’arredamento, a un livello tale da meritarsi persino l’attenzione di “Domus”. Disposizione alla manualità del fare artistico, al pregio artigiano della moltiplicazione del fatto estetico, che la avvicina ben presto alle fatiche precise dell’incisione calcografica.
L’essenzialità grafica del nuovo strumento invoca subito la forma familiare del bosco, le sue luci, l'ombra traforata. Contrasti decisi di tronchi, stagliati sulla carezza lieve dei chiaroscuri serotini, lucori madreperlacei di aurore incipienti, impigliate nell’intreccio dei rami, vibrazioni segniche di chiome fronzute, scomposte dal vento e da un postimpressionismo utile ad affinare la difficile arte della sintesi, dentro lo sperimento calcografico condotto con foga di neofita entusiasta.
Avida di spunti, di modelli, Anna si muove, sicura, dalla lezione degli antichi maestri a suggestioni più contemporanee: temi religiosi, favole mitologiche, scenette aneddotiche, mascherate e "circenses” si imprimono sulla carta con una densità e varietà di riferimenti culturali sempre governati però dalla cifra personalissima dell’autrice.
E mai riesce a prevalere la traccia della fonte, sia essa rinascimentale o barocca, italiana o neerlandese, sul criterio ordinatore della Marongiu: quella sua forza di sintesi equilibrata e composta che modella anatomie, ricava spazio e lo illumina sapiente, sempre attenta a una misura speciale, inconfondibile per solidità, chiarezza e una luce calda d’umanità sincera. Tratto saliente, quest'ultimo, dei modi narrativi delle sue incisioni, segnale costante eppure lieve nel suo prodursi sulle tavole, si dispiega in una gamma espressiva variata che sa raggiungere l’intensità del dramma ma anche dipingere i colori semplici della quotidianità sino a esibire il riso dell'ironia o una smorfia grottesca.
Specie, quest'ultima, nell’innocua sfrenatezza del carnevale cagliaritano, dove la mascherata si concede a un certo stralunato espressionismo “mediterraneo", chiassoso e sanguigno, lontano però dall'umorismo tragico dei tedeschi – specie di un Otto Dix – che pure la Marongiu dimostra di conoscere. È, invece l'assurdo di una follia ancestrale, mitica, a sfigurare quei volti, come solo un’altro incisore sa fare all'epoca in Europa: lo spagnolo José Gutierrez Solana.
Anna Marongiu Pernis, intenta a incidere, sintetica, les formes della sua città sous la lumière. Razionalismo superbo – militare e romanico – di torri pisane, muscoli tesi dei possenti bastioni ispanici, contrafforti medievali, membrature e muraglie bianche, altezza di acropoli rocciose, chiese massicce di Bisanzio e chiostri di Catalogna, archi rampanti e campanili come minareti: forme essenziali, volumi puri di architetture dure, si succedono sotto il virtuosismo di una luce variata, intrappolata senza pietà dai tempi precisi delle morsure dell'acido sulla matrice.